La politica economica del regno della Due Sicilie

La politica economica del regno delle Due Sicilie tra il 1821 e il 1846.

Pur se assai più lento rispetto a quello del Settentrione, lo sviluppo economico del Mezzogiorno continentale d’Italia registrò qualche progresso non di poco conto, in zone limitate, sia nell’agricoltura che nell’industria e nel commercio.
Dopo il 1821 il governo borbonico provvide all’abolizione delle corporazioni di mestiere, con lo scopo di eliminare per quanto possibile i residui istituti feudali, e liberalizzò i rapporti commerciali con la Sicilia, per tentare di indirizzare una migliore integrazione dell’economia isolana con quella del continente. Erano riforme che miravano di per sé a favorire lo sviluppo della classe borghese. C’era la convinzione che, convincendo la borghesia a impiegare nell’industria i capitali disponibili, il regno avrebbe potuto guadagnare lo stesso livello delle potenze che si stavano industrializzando. Il governo napoletano cercò di ottenere una maggiore omogeneità del mercato interno e di arrivare a una sua più netta definizione nei confronti di quello estero. A tale scopo diede vita, a partire dal 1823, a una politica protezionistica volta alla difesa delle attività industriali del Paese che non erano in grado di sostenere ragionevolmente la concorrenza di quelle straniere.

Tuttavia, nonostante le buone intenzioni mostrate dal governo, il decollo industriale non ci fu, non tanto per la cattiva volontà degli imprenditori meridionali, quanto perché non esistevano nel regno le condizioni strutturali favorevoli a uno sviluppo definitivo degli apparati industriali. Gli ostacoli principali erano rappresentati dalla ristrettezza del mercato interno e dalla difficoltà degli scambi con l’estero. L’esportazione riguardava essenzialmente i prodotti dell’agricoltura (olio, grano, seta, canapa), mentre l’importazione era costituita principalmente da manufatti. Ciò non faceva altro che accentuare il carattere subordinato dell’economia napoletana.

Anche il mercato interno, pur se erano stati eliminati i maggiori ostacoli al commercio tra la Sicilia e il continente, trovava un limite tanto importante quanto invalicabile nella mancanza di una efficiente rete di comunicazioni. La stessa agricoltura, come detto la principale attività economica del regno, non era in grado di svilupparsi autonomamente, essendo frenata in tal senso dal peso fiscale dell’imposta fondiaria, che costituiva al tempo il più rilevante ramo delle pubbliche entrate. I piccoli proprietari del regno delle Due Sicilie venivano a trovarsi spesso in grave difficoltà al momento di pagare le imposte.

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